San Pietro in Palazzi
SAN PIETRO IN PALAZZI

Teatro Lux: il suo futuro passa dalla donazione al Comune

Ven, 04 Gennaio 2019
Il sindaco Lippi interviene illustrando il progetto dell'Amministrazione

Il consiglio comunale ha approvato una variante per realizzare una struttura nelle disponibilità della Fondazione Casa Cardinal Maffi, che si pone come obiettivo quello di centralizzare l’esperienza di accoglienza di persone con problematiche legate all’età o alle condizioni psichiatriche, proiettando le proprie attività su Piazza dei Mille, con iniziative che coinvolgano utenti, bambini e famiglie, facendo si che la stessa piazza diventi, come lo era il teatro Lux, un secondo Portale tra gli ospiti e il paese, rinnovando e rilanciando viabilità e spazi all’aperto, integrati per tutti. "Come il teatro Lux fu luogo di integrazione e di inclusione allora - spiega il sindaco Samuele Lippi - così lo diventi Piazza dei Mille oggi. Ecco perché nella nuova scheda urbanistica adottata è contenuta la donazione del teatro al Comune da parte della Fondazione Maffi. La sfida è quella di riuscire, insieme alla Fondazione, alle compagnie teatrali amatoriali, alle scuole di danza, alle scuole, al mondo del volontariato, dello sport e a tutte quelle realtà che fanno di Palazzi il paese che è, a progettare i contenuti e le forme di teatralità, arte, musica, sport, divertimento, riflessione e tutto quello che ci verrà in mente e nel cuore per fare di nuovo del teatro Lux lo spazio aperto che, fin dalle sue origini era stato, in nome della logica di convivenza vera e profonda tra tutte le persone che vivono a Palazzi".

Il sindaco Lippi ha quindi voluto condividere una storia che parla anche del passato di Palazzi e del Lux. "E' la storia di un bambino che era spettatore assiduo in quel teatro, nonostante fosse chiuso, e che da allora ha iniziato a crescere, vivendo una grande esperienza di vita che lo ha segnato e contaminato per sempre". 

"Il Teatro Lux lo frequentavo da bambino quando il GAD lo utilizzava per le prove ed io, figlio di Adriano, che ne faceva parte, avevo l’onore di assistere in prima fila con una particolare compagnia di spettatori che, guarda caso, erano gli ospiti della Casa Maffi. Ospiti che il grande Franco Valori, educatore, accompagnatore e, in quelle circostanze, attore e tenore, la sera, fuori orario di lavoro, faceva entrare in teatro di cui Don Pietro aveva concesso l’uso gratuito. La comunità palazzetana, a differenza di quella cecinese, aveva ed ha un rapporto speciale prima con ‘i trovatelli’ orfani, causati dalla II guerra e dopo con quei fratelli ‘mattacchioni’, che un tempo i nazisti, insieme ai disabili consideravano solo un costo e che per primi hanno inaugurato i forni crematori. Fuoco che cancellava i corpi e quindi le prove dopo che inaspettate docce, invece di lavare lo sporco con l’acqua, gli avevano spento con il gas la vita, vita di esseri considerati inutili ed improduttivi.

Sperimentazione che passando poi per lo sterminio di omosessuali, rom e prigionieri politici ha dato vita alla risoluzione finale annientando milioni di bambini, uomini, donne ed anziani solo perché ebrei. In particolare per i disabili mentali, sebbene ancora con quella infame visione sociologica propria della morale del secolo scorso, frutto di un sempre vivo, ma nascosto senso di presunta superiorità dei ‘sani’ sui ‘matti’, le cose, dopo la II guerra mondiale, erano migliorate: la società non risolveva più i loro problemi sterminandoli ma ospitandoli in ospedali psichiatrici conosciuti come manicomi. In queste strutture, fino alla fine degli anni ‘70, sono stati ospitati migliaia di disabili gravi, malati di mente ma anche internati che erano semplicemente figli di famiglie povere che, secondo la rigida legge tipica del proletariato e cioè l’esigenza di misurare la ricchezza di una famiglia con l’equazione figli/braccia/lavoro, spesso inviavano le donne in convento e gli uomini non performanti in queste strutture che, paradossalmente, finivano per accogliere anche chi non avrebbe dovuto metterci piede. Più spesso si trovavano ad accogliere chi, con poco sforzo, avrebbe facilmente potuto essere come gli altri ma che, internato, non disturbava, stava lontano o non creava problemi. Sempre di internati si trattava, ma almeno non venivano uccisi. Il 13/05/1978 un certo Basaglia, con la sua legge, chiuse queste strutture, diventate quasi galere senza che nessun giudice avesse sentenziato una detenzione. Da quella legge la Casa Maffi divenne una delle strutture di accoglienza più importanti di Italia. Inizialmente oltre 1000 ospiti, già calati a 700 nel periodo in cui frequentavo il teatro Lux 40 anni fa, scese oggi fino a poco più di 100. I Palazzetani hanno vissuto un’esemplare rivoluzione culturale. In ogni famiglia vi era un lavoratore e gli ospiti che, fino alla Legge Basaglia vivevano in condizioni carcerarie, nella maggior parte dei casi vivevano liberamente. Gli ospiti conoscevano i palazzetani che li accudivano e le famiglie conoscevano gli ospiti, vivendo un modello di integrazione spesso complesso e contraddittorio, ma di grande umanità e civiltà. Il teatro Lux rappresentava un pezzo importante di questo connubio. Un cittadino di Palazzi non guardava mai con insofferenza o preoccupazione un uomo trasandato che con le dita ingiallite chiedeva una sigaretta; non scherniva una donna vestita da operetta truccata all’inverosimile che si aggirava per le strade. Nessuno si domandava come facesse il tenore che cantava Il Barcarolo, Franco Valori, ad accompagnare una dozzina di ospiti per mano come una scolaresca dell’asilo in gita; nessuno si domandava se fosse sicuro, se si rispettassero le condizioni contrattuali. Il teatro Lux per me, ma soprattutto per Palazzi, rappresentava un Portale tra il mondo degli ospiti della Casa Maffi e del paese e un mondo che ci piace chiamare ‘normale’. Quel mondo normale che oggi, estremizzando e semplificando, tocca il suo apice nell’assuefazione con cui si vivono le morti e le violenze di cui siamo testimoni tutti i giorni; il mondo “normale” che si può incontrare in uno stadio dove la violenza la fa da padrona; il mondo “normale” di chi non trova giusto accogliere un bambino, la cui mamma, pur di potergli offrire una speranza di vita, lo porta su un gommone gestito da trafficanti, in una traversata in cui nessuno sa nuotare. Non avendo nemmeno a disposizione un salvagente da fargli indossare e gli mette una maglietta rossa come ultima, infame e ingiusta opportunità che, in un possibile naufragio, possa consentire ai soccorritori di individuarlo in tempo utile. E addirittura poi il “normale” popolo italiano, nella sconfitta per non essere riuscito a salvare quel bimbo, chiede di celare le immagini per non turbare l’opinione pubblica con il pretesto onnipotente della Privacy o moralità pubblica. A Palazzi non era così allora e non lo è oggi.

Oggi i pochi “mattacchioni” rimasti hanno ripreso una gestione semplice della interrelazione con il quartiere, proprio quella che era alla base della riforma Basaglia. Il sistema sanitario non ha contrastato la visione di Basaglia e si è battuto per un’inclusione delle persone psichiatriche, affidata sì alla gestione economica aziendale, ma improntata al sostegno individuale dell’autonomia di ogni persona, per fare riscoprire che, forse, può lavarsi i denti da solo, e che questo può farlo sentire “prezioso”, degno di rispetto, detentore del diritto a un suo spazio privato e personale. Questo stile può diventare un progetto concreto, fatto di piccoli passi realizzati insieme, con l’apporto di tutta la comunità. Grazie a progetti delicati e visionari forse alcune persone, insieme ad altre con capacità diverse ma complementari, saranno capaci di unire le forze, con l’obiettivo di realizzare spazi di vita autonomi nella convivenza, in luoghi sicuri, sperimentali nella comunità e, magari, poi, fisicamente staccate dalla struttura, sostenuti non solo dal personale della Maffi, ma anche, ad es. dalla Fondazione per il “dopo di noi”, dal volontariato, dalle persone che hanno a cuore gli altri e dai Servizi Sociali, sfruttando le possibilità di progetti di inserimento lavorativo pensati con attenzione individualizzata per le persone che ne hanno bisogno".